Sogni miei, di Ernesto Bernardi

Sogni miei, belli come il sole che sorge
Luminosi come stelle nel manto della notte
Buffi come cartoon che mi sorridono

Sogni miei, sussurrati dal mattino
Abbandonati quando non è ancora sera
Sogni miei, che ancora tornate
a scuotermi dalle mie paure

Sogni miei, vi raccoglierò nel mio sacco
Rattoppato col filo della speranza
Vi porterò con me sulla nave
E vi svuoterò sul ponte

Per cucire ancora una rete
Con i sogni, i nodi e le mani
Dei miei compagni di mare

Nica, di Sofia Lorefice

Una donna si specchia e trucca. Una bambina la segue e la imita. (La bambina calza delle scarpe con il tacco uguali a quelle della donna grande ma che a lei vengono troppo grandi)

Nica: Perché ti specchi?

Donna: Perché voglio essere bella.

Nica: E perché vuoi essere bella?

Donna: Perché nel mio lavoro bisogna essere belle per essere considerate importanti.

Nica: Tu per me sei importante e bella!

Donna: (la donna grande sospira) Nica, non sono tutti come te, per gli altri devo essere più bella.

Nica: Chi sono le persone per le quali devi essere più bella?

Donna: Sono piccoli uomini potenti e annoiati che possono farmi fare carriera, altrimenti la faranno fare a un’altra.

Nica: E chi è quest’altra?

Donna: Una più bella di me.

Nica: Ma chi è più bella di te?

Donna: (innervosita) Ora devo uscire, mi aspettano, ho un lavoro importante. Tu ora addormentati dai…

Nica: Raccontami una storia, la storia di Biancaneve e io mi addormento!

Donna: Non posso Nica, vorrei tanto stare qui con te, sarebbe un sogno! Ma oggi sono troppo di fretta, la storia te la racconto domani. Tu ora vai a letto…

Nica: Ma la regina di Biancaneve era cattiva?

Donna: (annoiata) Sì

Nica: Perché?

Donna: Perché era narcisista.

Nica: Cosa vuol dire narcisista?

Donna: Che si guardava solo allo specchio.

Nica: Perché la strega si guardava solo allo specchio?

Donna: (distratta) Perché voleva essere la più bella del reame.

Nica: E perché voleva essere la più bella del reame?

Donna: (in ansia, perché in ritardo) Perché non conosceva nessuno che la facesse sentire bella e importante. Ora però dormi. La storia te la racconto domani.

Nica: E perché voleva uccidere Biancaneve?

Donna: Perché era più apprezzata e amata di lei.

Nica: Da chi era amata e apprezzata Biancaneve?

Donna: Dai sette nani e poi dal principe.

Nica: E chi erano i sette nani?

Donna: (dolce) 7 piccoli uomini gentili e fedeli.

Nica: E il principe?

Donna: Dai Nica dormi…. Il principe era un sogno che contava più della realtà.

Nica: Perché la strega dà la mela a Biancaneve?

Donna: Perché voleva avvelenare i sogni che lei non sapeva sognare.

Nica: Ma allora perché la strega fa un incantesimo dal quale Biancaneve viene liberata e non uno che dura per sempre?

Donna: (la Donna Grande piange) Perché i sogni, in fondo, non muoiono mai… stanno in dormiveglia e sperano che qualcuno riesca a risvegliarli.

Nica: Allora la regina non era cattiva?

Donna: Forse no.

Nica: E allora cosa era la regina?

Donna: Sola e fragile.

 

La donna (triste) bacia la bambina ed esce dalla porta.

La bambina guarda la porta, comminando con le scarpe col tacco, si dirige verso una bambola che somiglia alla donna grande; la osserva, la studia, quasi la interroga, poi osserva le scarpe che ha ai piedi e se ne sta qualche momento pensierosa… chiedendosi se tenerle o metterle via. Infine, con atteggiamento fiero e soddisfatto decide di tenerle, va verso il suo orsetto di peluche, lo prende, lo abbraccia, torna verso la bambola e glielo mette delicatamente fra le braccia.

Sulla rotta del peluche, di Cisky

Personaggi: Papà e Bambino

P: Adesso andiamo a fare la nanna, che paha da fare.

B: Ma io non ho sonno papà… guarda sono sveglio! Perché non possiamo giocare un po’? Io voglio giocare con te!

P: Perché adesso non si può e perché devi dormire… domani giochiamo! Promesso, pesoltanto se adesso chiudi gli occhi e dormi.

B: Allora raccontami una storia… una storia, una storia, dai una storia, ti prego, una storia.

P: Ti ho detto che non ho tempo! Mi ascolti quando ti parlo?! E ora dormi, che devo andare.

B: Uffaaa, ma perché devi sempre andare via? Tu non dormi?

P: No! Tu devi dormire! lo devo uscire per pensare a te e alla mamma, così non vi mancherà mai niente.

B: Però tu non ci sarai, papà!

P: Cerca di chiudere gli occhi, non farmi arrabbiare.

B: Ma perché devo dormire per forza?

P: Perché te lo dico io!

B: Io devo fare tutto quello che mi dici perché sei grande?

P: Sì, è proprio così, e tu devi solo ubbidire.

B: allora voglio essere grande per comandare anch’io!

P: Guarda che mi stai facendo perdere la pazienza, tra un po’ le prendi se non mi dai retta... forza cerca di dormire.

B: Papà perché non mi abbracci mai?! Perché non mi dici mai ti voglio bene?! Perché non capisci quello che voglio?!

P: Ti avevo avvisato (prende il bastone), adesso basta, te le suono!

Il bambino blocca il colpo afferrando il bastone e togliendolo poi di mano al padre

B: No papà! lo sono grande, adesso mi “arrabbio” io!

Il bambino lancia contro il padre il peluche che abbracciava, sostituendolo con il bastone… e stringendo al petto il nuovo feticcio si addormenta.

Buio.

Lo scopo del dolore non è la reclusione

Introduzione per A Cimma

Non era questo il primo sogno, di certo non era togliere la vita per vivere, non era vendere polvere per respirare. Da piccoli, abbiamo morso il seno delle nostre madri per paura che ci potesse sfuggire dalle mani… per il piacere che si prova a possedere e controllare le cose.

Poi i più fortunati di noi hanno imparato a tollerare l’attesa del latte, ad aver fiducia che la carezza, da lì a poco, sarebbe arrivata; altri hanno forse dovuto aspettare troppo, e così hanno imparato a usare le loro mani per controllare e dirigere quelle degli altri o addirittura per cancellarle.

Ma la malattia del controllo alla fine rende schiavi e, così, molti hanno anche lasciato crescere i propri figli con il padre in carcere… poi, durante la detenzione, è diventata sempre più chiara la consapevolezza che i figli, nella traversata dell’adolescenza, sarebbero potuti rimanere sedotti dalle stesse mire e, a loro volta, vivere ingabbiati nella perfida illusione del burattino che fantastica di dirigere il mondo.

Adesso, chi vuole può provare a tornare al suo primo sogno, a recuperarne le spinte, i sapori, gli orizzonti. Di certo i nostri figli ci saranno grati se sapremo interpretare la nostra rivoluzione, se sapremo ottenere, dal nostro dolore,  spazi più ampi per la nostra e per la loro evoluzione.

Il corriere dei panni sporchi?

Quel giorno dovevamo andare a Rho per incontrare degli studenti; con Massimiliano eravamo d’accordo che sarei passato a prenderlo a casa sua. Novate milanese e Rho non sono distanti, ma non sono ben collegate. Max, prima di salire in macchina, apre il vano bagagli e ci butta dentro un borsone che somiglia a quelli con cui si va in palestra.

A Rho era in programma uno dei nostri soliti incontri per la prevenzione contro il bullismo. Max, Antonio, Giuseppe, Adriano raccontano dei propri trascorsi, ma soprattutto coinvolgono gli studenti con riflessioni su quanto oggi sia cambiata la loro visione della vita rispetto agli anni vissuti fra droghe e rapine.

Finisce l’incontro. Stavolta in macchina con me e Max c’è Adriano, detenuto nel carcere di Opera, a sua volta componente di spicco nel gruppo. Qualche commento sull’andamento della mattinata e arriviamo sotto casa mia dove posteggio e ci salutiamo; loro vanno a mangiare un panino, io ho una seduta in studio. Ci si rivedrà dopo un’ora per andare a piedi al gruppo esterno del martedì in Corso Italia.

Chiudiamo il gruppo e sono circa le 18, torniamo ancora a casa mia, dove la mia auto è rimasta posteggiata per tutto il pomeriggio. Prima di salutarci, Max dice “stavo quasi per dimenticarla“,  apre il portellone posteriore, prende la sua borsa e aggiunge: “se non porto i panni sporchi ad Angelo, cosa mi metto nei prossimi giorni?”

In una frazione di secondo mi passano per la mente un sacco di immagini e, soprattutto, vivo una diffusa sensazione di benessere che le accompagna tutte; mi chiedo che cosa avrei potuto portare inconsapevolmente in macchina se fossi stato amico di Max prima della sua ultima e attuale carcerazione… una decina di anni fa in quella borsa Max avrebbe potuto trasportare lo stesso genere di merce per cui ci siamo conosciuti in carcere.

insomma, è proprio bello rendersi conto, quando è ormai sera, di aver tenuto in macchina per un’intera giornata una borsa piena e non averci fatto caso! Cosa c’è da stupirsi se Massimiliano, uno che oggi va all’ortomercato alle 5 del mattino per comperare la frutta per la nostra bancarella, non ha una lavatrice con cui lavarsi i panni?

 

Il fuoco del drago, di Massimo Moscatiello

Siamo persone che nel corso del loro cammino si sono perse. Ci siamo inoltrati, poco consapevolmente, in oscure paludi, all’inseguimento di perverse eccitazioni; abbiamo invocato e adorato false divinità nel tentativo di negare le nostre fragilità e di zittire le nostre paure.

Immersi nel fango della solitudine interiore, abbiamo affidato alle illusioni il compito di tirarcene fuori, intanto che usavamo la rabbia, come fanno i draghi col fuoco, per sputare su chiunque provasse a mostrarci una linea alternativa al nostro delirio; siamo diventati prede di noi stessi mentre vivevamo come predatori della comunità e, pur continuando a invadere gli spazi altrui, abbiamo chiuso i nostri dentro miseri confini.

Oggi, consapevoli di essere divenuti pietre dalla sabbia, cominciamo a legare i nostri progetti con quelli di chi, cresciuto su fondamenta più solide, è diventato capace di cercare la propria libertà senza ricorrere a facili eccitazioni; oggi, accanto a chi abbiamo visto in passato come preda, proviamo a diventare a nostra volta membri attivi di quel mondo che pensavamo ci dovesse tutto, senza averne noi alcuna considerazione.

La pubblica discussione

In una pubblica discussione,  dunque anche al tavolo del Gruppo della Trasgressione, Il vincolo a esplicitare dei riconoscibili, eventualmente condivisibili, criteri di riferimento a sostegno della propria opinione risponde a un’esigenza precisa: rendere le riflessioni e le scelte il più possibile simili a un confronto scientifico invece che a una disquisizione da bar.

L’esplicitazione e il vincolo a rendere riconoscibili i propri criteri impone a chi sostiene un’idea delle astrazioni che, in quanto tali, favoriscono l’elaborazione di pensieri meno subordinati o non esclusivamente subordinati alla contingenza e, per questo, atti a spingere il soggetto verso la collettività e le sue esigenze.

Togliere alle persone (in questo caso, ai condannati) la possibilità di esprimere il proprio pensiero costituisce di certo un gravissimo attentato alla civiltà; ma è quasi altrettanto folle lasciare alle persone la facoltà di sproloquiare senza pretendere da chi parla l’esplicitazione delle categorie di riferimento, cioè una prova tangibile che il discorso che viene prodotto cercherà di tener conto delle esigenze della collettività di cui si fa parte e della cui organizzazione si beneficia.